Non si muore mai una volta sola!
Un racconto per riflettere sulla separazione dei genitori
Quando l’immagine dei propri genitori uniti e innamorati ad un tratto svanisce, si fa spazio alla tristezza, ad un dolore struggente e spesso muto paragonabile ad un lutto. Ad ogni dolore è come “morire” e “non si muore una volta sola!”.
Questo commovente racconto pone la su attenzione non solo sui genitori traditi, ma soprattutto sui figli e sulle loro reazioni. Il mondo interiore è completamente sconvolto e possono essere molti i modi di reagire di un figlio che vede i propri genitori allontanarsi sempre di più. Sono “figli traditi” perché è esattamente così che si sentono: arrabbiati e feriti.
Il dolore provato da un figlio di fronte alla separazione dei genitori va affrontato con delicatezza e cautela, sapendo che non può essere smaltito facilmente e che in questo processo l’aiuto dei genitori e ai genitori è fondamentale. Ciò che è importante ricordare è che ci si può separare dal partner, ma non dai figli; essi vanno rassicurati e soprattutto va garantita loro la possibilità di mantenere un legame con entrambi i genitori.
a cura della Dott.ssa Santa Maggio
Non si muore mai una volta sola!
Non si muore mai una volta sola!
I grandi sono davvero convinti che per morire ci sia ancora tempo e non si accorgono dei minuti che si fanno rubare dalla fretta di vivere.
Io avevo sedici anni ed ero già morta tante volte. Non avevo più paura di morire. Forse, prima che cominciassi a farlo, ero d’accordo con i grandi e non ci pensavo.
Poi, dopo la prima volta, mi accorsi che anche la paura cambiava volto.
Me l’avevano descritta come un qualcosa di troppo grande da affrontare. Ora ci ridevo su.
“Viola, ma tu non hai mai paura?”, mi domandò quella curiosona di Marta.
“Io? No!”
Fu talmente secca la mia risposta che si defilò subito, con le labbra inumidite di gelato e saliva.
“Marta non è ancora cresciuta”, pensai e mi fece quasi tenerezza.
Io ero già grande da un pezzo.
Da quando avevo smesso di giocare con le bambole.
Da quando avevo capito che gli adulti dicono un sacco di cazzate e s’illudono di prenderti in giro, come se il tuo cervello avesse un funzionamento pari a zero.
Da quando avevo imparato che la paura era addirittura più forte della solitudine.
Perché, fin quando ti senti solo sola, ti chiudi in te stessa e dici addio al mondo in mille modi plausibili. Ma le cose si complicano molto quando all’improvviso muori del tutto.
Il cuore si ferma. La mente. La tua vita si blocca.
Allora ti ripeti: “Cazzo, sono già morta! E adesso?”
E chi ti risponde se gli altri non lo sanno? Chi si ferma a guardare i tuoi bellissimi occhi e a cogliere un lampo di perfetta assenza?
Nessuno! Né mamma. Né papà. Né quell’antipatico di tuo fratello che se la ride con gli amici ed è convinto di essere il più figo del mondo quando “acchiappa” una ragazza e la mostra agli altri come un trofeo. “La caccia è finita!”, sembra sussurrare.
“Solo per il momento”, ribadisco senza voce.
Ne colleziona una dopo l’altra. Tanto… Chi glielo ha spiegato che l’amore è ben altro?
Certo non i miei!
Io sono morta esattamente un tardo pomeriggio d’estate. Ero uscita con le mie amiche. Ricordo perfettamente che stavamo ridendo ed ero serena.
Ad un tratto ho perso il sorriso e tutto il resto.
“Viola… Ma quello non è tuo padre?”
“Impossibile! E’ fuori per lavoro!”, ribattei stizzita.
“Guarda che è proprio lui e sta baciando un’altra donna!”
“Ma che cavolo dici?”
Mi voltai e dovetti focalizzare più volte l’immagine per convincermi che Marta aveva ragione.
Eravamo amiche d’infanzia ma in quel momento la odiai con tutta me stessa.
Cominciai a correre, prima che la prendessi a pugni per la rabbia.
Pensai a mia madre. A me e a mio fratello.
Alla nostra famiglia “unita”. U-NI-TA?
Balle! Tutte balle!
Balle e bolle di sapone.
Non sono simili alle bolle di sapone gli amori che finiscono? Puoi anche soffiarci con forza e tutto è solo rumore.
Però è dentro che tu scoppi.
Non c’è un prima o un dopo. Basta un minuto.
Corsi a lungo finché rimasi senza fiato e dovetti fermarmi. Tutto era lontano da me. Eppure l’eco delle terribili parole di Marta mi seguiva ancora come un’impertinente cantilena.
“Tuo padre…. Un’altra donna…”
Impazzivo, ma non volevo piangere.
Non lo meritava. Non ci meritava.
Fu allora che capii che non ci voleva molto per morire.
Mi disturbava quella morte e non la ritenevo per niente indispensabile. Con tutta probabilità avrebbe potuto essere solo una grande invenzione se non fosse che il vecchio sarebbe sparito per sempre.
Non avevo paura e non m’ingannava la speranza. Mi sarei liberata dall’imbarazzo di non sapermi gestire.
“Violaaaaa!”
Due urla disperate mi raggiunsero come un fischio assordante.
Ripresi a correre. Ma ero senza fiato.
Dovetti fermarmi.
Mi voltai e vidi i visi stravolti di Marta e mio padre.
Dannazione!
“Viola, non è come tu pensi…”, provò a giustificarsi.
“Balle, balle e poi ancora balle! Abbi il coraggio di non mentire almeno a te stesso, papà!”
Il mio evidente disprezzo fece impallidire anche Marta che, forse, si sentiva in colpa per avermelo detto.
“Non voglio ascoltarvi. Voglio stare sola!”
“Ma Viola…”
Mi girai di spalle e aspettai a girarmi finchè non li sentii andar via.
Fu allora che piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto.
“Sono morta e piango!”, pensai sarcastica.
Avrei dovuto smettere di soffrire.
Forse ero morta a metà. Giusto il tempo di non sentirlo per un attimo il dolore.
M’incamminai verso casa. Era tardi. Sicuramente mi stavano cercando.
Non potevo morire senza cicatrici e ne avevo già collezionate un po’.
Le finestre erano illuminate.
Bellissima la luce della luna che si rifletteva nelle pozzanghere.
Aprii la porta cercando di non far rumore.
Li trovai seduti in salotto.
Papà giocava nervosamente con le dita, mio fratello guardava un programma sportivo e mamma mi guardò dritto negli occhi.
“Ti sembra l’ora di tornare, signorina?”
“Ho fatto un giro per distrarmi. Ero con Marta.”
Corsi subito in camera mia senza cenare, senza fermarmi troppo in quella stanza che mi toglieva il respiro.
“Notte, mamma!”
Quando mi misi a letto mi feci la stessa stupida domanda: “Perché a me?”
Questa volta, però, avevo ragione.
Mi ero oscurata perché faceva male vivere così.
Poi, mi addormentai.
Era già tardi quando mamma venne a svegliarmi.
Spalancò le finestre e la luce mi infastidì.
“Voglio dormire! Fammi dormire ancora!”
“Viola… Stai bene? Sei sempre così mattiniera!”
“Sono stanca… Voglio stare a letto!”
“Ti aspetto per colazione. Vestiti, dobbiamo andare in Chiesa.”
“Non ci vengo. Oggi, no!”
“Viola!”
“Ho detto, no!”
Urlammo entrambe, ma la spuntai.
L’idea di sorbirmi chiacchiere sull’amore nell’omelia domenicale non mi rallegrava.
Chi muore, alza i muri e smette di sorridere.
Chi muore non vuole nessun mazzo di fiori sullo stomaco. E quel puzzo insopportabile di vivere inquieti dà la nausea.
“Viola, scendi?”
La voce cavernosa di mio fratello mi stizzì più del solito.
“Lasciami in pace! E sparisci!”
“Sei fuori di testa?”
“Forse, ma non sono affari tuoi!”
La domenica trascorse oziando. Scesi solo per pranzo.
Ero un mostro. Gli occhi gonfi, due terribili occhiaie che m’invecchiavano all’improvviso.
La mamma mi diede un bacio sulla guancia.
“Tu non stai bene!”, mi disse preoccupata.
“Vero, amore?”, disse rivolta a papà.
Saltai sulla sedia.
Mi alzai per rinfrescarmi il viso in bagno.
Papà mi raggiunse.
“Diglielo o parlo io, adesso!”
Il suo volto tirato. Anche lui aveva dormito male.
Tornammo a sederci e il pranzo continuò come al solito.
“Troppo silenzio oggi” disse la mamma ridendo.
“Sono tutti stanchi, tranne noi, mamma!”, intervenne a sproposito quell’antipatico di mio fratello.
“Quando saprai…!”, pensai ridacchiando.
“La domenica è fatta per riposare e noi ci stiamo riposando. Vero, papà? Prima che…”
“Riprendiamo la frenesia degli impegni settimanali”, si affrettò a completare la frase tossendo e arrossendo alquanto.
“Che sta succedendo tra voi due?”, domandò mamma sempre molto attenta. Non le sfuggiva mai nulla. Sapeva cogliere al volo anche i prolungati silenzi.
“Niente, niente, cara!”
Ipocrita! Mi partì l’embolo e vomitai d’un colpo tutta l’amarezza che stavo masticando.
“Invece un problema c’è, mamma. Un grosso problema!”
Sapevo che poi saremmo morti tutti, ma non ero fatta per le finzioni. Mi stavano strette come nodi scorsoi.
“Un problema???”
La vidi vacillare, si sedette e ascoltò parola per parola immobile.
Non guardò papà ma me.
Non si può raccontare il dolore che vidi spuntare nei suoi grandi occhi color nocciola.
Non una lacrima. Le labbra tremavano, la voce, le mani.
Ci somigliavamo molto io e lei.
Due donne forti e fragili.
Mio fratello aveva smesso di ingurgitare bocconcini di carne.
Mio padre si era alzato per riprendere fiato.
Lo avevo avvisato.
“Viola… sei sicura?”
Ebbe la forza di domandarmi.
“Sì, mamma!”
Poi tacque per giorni.
Eravamo come fantasmi.
La puzza di quello schifo, forse, era arrivata fino al cielo. Ero abbastanza disperata da non vedere il sole.
Mi mancava l’odore delle risate.
Dopo aver confessato tutto, ero morta più profondamente.
Marta aveva continuato a cercarmi e io non avevo risposto a nessuna chiamata.
Ignoravo perché papà avesse ceduto. Mamma era bellissima e non meritava un simile disprezzo.
Quelle combinazioni chimiche che l’amore innesca sono davvero micce pericolose. E, quando s’innescano, fanno terra bruciata intorno senza scampo.
Cercavo di difendere l’idea d’amore che mi ero costruita a fatica e che stava crollando rovinosamente.
Non c’era nascondiglio che potesse proteggermi.
Matteo, mio fratello, era diventato taciturno, usciva poco, non parlava di ragazze, fumava più spesso e vegliava sulla mamma.
Avevo cominciato ad adorarlo.
“E’ cresciuto!”, mi ripetei.
Trascorse molto tempo prima che vedessi la mamma meno rigida in volto.
In questi giorni l’avevo sentita singhiozzare spesso. Avevo provato ad abbracciarla ma mi guardava in maniera strana.
“Ce l’ha con me!”, mi ero persuasa e avevo smesso di farlo.
Una mattina, una di quelle mattine semiautunnali che ti ingoiano l’anima, a colazione il silenzio fu interrotto da una stringata comunicazione:
“Ci separiamo!”
La voce impersonale di mamma e il suo sguardo lontanissimo mi colpirono come una freccia avvelenata.
Capii che nulla si poteva più ricucire. Né il tempo dei ricordi né quello dell’immaginazione e nemmeno quello della speranza.
“A fine settimana vado via di casa”, continuò papà.
Io e Matteo ci abbracciammo e morimmo insieme.
Morimmo di panico e di solitudine. Tesi le orecchie al silenzio: nessun rombo sotterraneo.
Squillò il cellulare e risposi: “Viola???”
Era Marta. “Facciamo due passi?”
“Sì!”
Uscii di casa morendo ancora.
Nulla sarebbe stato più come prima!
(Angela Aniello)
La separazione dei genitori porta inevitabilmente nei figli una serie di cambiamenti sia nella quotidianità che nel loro modo di relazionarsi in famiglia e con il mondo; di seguito dei brevi consigli per aiutare i genitori che stanno vivendo questa dolorosa e difficile fase della vita, con l’augurio che anche il dolore e le ferite possano trasformarsi e generare nuovo amore:
- E’ preferibile che i genitori comunichino insieme l’intenzione di separarsi.
- Rassicurare i propri figli sul fatto che la separazione è una decisione in cui essi non c’entrano e non hanno alcuna colpa.
- E’ fondamentale aiutare i figli ad esprimere i propri pensieri e sentimenti rispetto alla separazione.
- Essere chiari sull’irreversibilità della decisione per evitare il tentativo da parte dei figli di riconciliare i genitori.
- E’ importante non parlare male ai figli dell’altro genitore.
- Evitare di cercare la complicità dei figli contro l’altro genitore.
- Fare in modo che i figli vedano regolarmente il genitore che non vive con loro e che non cambino drasticamente le proprie abitudini.
- Aspettare un po’ di tempo prima di presentare eventuali altri partner
Dott.ssa Santa Maggio