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Sulle tracce dei figli

Sulle tracce dei figli
di Saverio Abbruzzese

Editore: La Meridiana, 2011
ISBN: 9788861531697

Manuale di sopravvivenza per genitori troppo buoni

Che-cosa-è-successo-oggi-a-scuola-a-mamma? Così, tutto d’un fiato.

Quante volte avete fatto questa domanda a vostro figlio?

Che cosa c’è di male? Direte voi. Ogni genitore deve interessarsi di quello che succede al figlio.

Certo, ci mancherebbe altro.

Ma provate a mettervi nei panni di quel ragazzino, che torna da scuola e, appena varca la porta di casa, si sente investito da questa domanda della madre, posta con tono ansioso, ogni giorno.

  • Come se ogni giorno a scuola avvenissero eventi memorabili.
  • Come se questi eventi riguardassero la mamma.
  • Come se a scuola ci fosse la mamma.

In questo libro troverete “le parole dei genitori”, cioè una rassegna delle modalità comunicative più frequenti utilizzate in famiglia: per riflettere su quello che diciamo, su come lo diciamo e sui livelli di consapevolezza di quello che diciamo. Sono descritti gli errori in cui cadiamo, spesso involontariamente, e gli effetti di queste modalità comunicative sui nostri figli.

“Ai miei tempi – come spesso dicono i genitori più anziani – c’era un’altra musica”. Questo libro cerca appunto di capire cos’è cambiato fra i miei tempi e i giovani d’oggi.

Sarete messi in guardia anche da quella forma stucchevole di bontà genitoriale che si trasforma in ricatto affettivo, che produce tanti sensi di colpa nei figli.

È giunta l’ora che i genitori si rivestano di autorevolezza e diventino più assertivi. Imparino a utilizzare più punti esclamativi e meno punti interrogativi. Se non è chiaro il concetto, proseguite nella lettura di questo volumetto, una sorta di manuale di sopravvivenza per genitori troppo “buoni”

 

 

Seminario “Genitori felici: crescere felici con i propri figli”

All’interno dell’iniziativa “Mese del Benessere Psicologico 2015” la Dott.ssa Santa Maggio, Psicologa dello Sviluppo e delle Relazioni, esperta in Dinamiche Familiari e di Coppia, terrà il 24 Ottobre 2015 dalle 17:00 alle 19:00 presso il suo studio di psicologia a Bitonto in Via Privata Giovanni Mongiello n. 31 un seminario dal titolo “Genitori felici: crescere felici con i propri figli”.

Il seminario è gratuito ed è rivolto ai genitori che si ripropongono di vivere la propria funzione con gioia. A coloro che, pur tra alti e bassi, si appassionano al compito di “rigenerare” continuamente se stessi insieme ai loro figli.

La partecipazione al seminario è riservata ad un numero limitato di iscritti pertanto è obbligatoria la registrazione online!!!

La dott.ssa Santa Maggio inoltre per tutto il mese di ottobre offre la prima consulenza psicologica gratuitamente a coloro che la richiedono mediante il form di prenotazione online o chiamando al 329.4355357.

Il Mese del Benessere Psicologico

Sensibilizzare e promuovere la cultura del Benessere, affinché ognuno possa puntare a migliorare la qualità della vita, elaborando e condividendo il non risolto del proprio vissuto interiore: questo l’obiettivo dell’Ordine degli Psicologi di Puglia, che per il quinto anno consecutivo promuove l’iniziativa del “Mese del Benessere Psicologico” con la volontà di coinvolgere non soltanto gli addetti ai lavori, ma anche quella parte di popolazione restia al cambiamento o introversa, vittima del pregiudizio sociale che vede chi si affida allo psicologo come pazzo o malato.

Una comunicazione, quindi, improntata sull’abbattere e decostruire la falsa convinzione del pregiudizio sociale, catturando prima e indirizzando poi l’attenzione di quella popolazione che vive una situazione di malessere interiore, spesso inconsapevole della possibilità del cambiamento, ad uscire dall’impasse in cui vive, avvicinandola alla rete di professionisti pronti a guidarli verso la ricerca del benessere psicologico.

Risolvere conflitti interni non solo migliora la qualità della vita, ma aiuta anche a prevenire e affrontare con maggiore consapevolezza le possibili discrepanze tra Sé e l’altro, tra il proprio microcosmo e le infinite relazioni di esso con l’esterno. È partendo dagli innumerevoli benefici del benessere e annullando e destrutturando la paura del cambiamento e gli stereotipi che legano lo psicologo al malato che insieme si darà vita al “Mese del Benessere Psicologico”.

 

Non si muore mai una volta sola!

Un racconto per riflettere sulla separazione dei genitori

Quando l’immagine dei propri genitori uniti e innamorati ad un tratto svanisce, si fa spazio alla tristezza, ad un dolore struggente e spesso muto paragonabile ad un lutto.  Ad ogni dolore è come “morire” e “non si muore una volta sola!”.

Questo commovente racconto pone la su attenzione non solo sui genitori traditi, ma soprattutto sui figli e sulle loro reazioni. Il mondo interiore è completamente sconvolto e possono essere molti i modi di reagire di un figlio che vede i propri genitori allontanarsi sempre di più. Sono “figli traditi” perché è esattamente così che si sentono: arrabbiati e feriti.

Il dolore provato da un figlio di fronte alla separazione dei genitori va affrontato con delicatezza e cautela, sapendo che non può essere smaltito facilmente e che in questo processo l’aiuto dei genitori e ai genitori è fondamentale. Ciò che è importante ricordare è che ci si può separare dal partner, ma non dai figli; essi vanno rassicurati e soprattutto va garantita loro la possibilità di mantenere un legame con entrambi i genitori.

a cura della Dott.ssa Santa Maggio

Non si muore mai una volta sola!

Non si muore mai una volta sola!

I grandi sono davvero convinti che per morire ci sia ancora tempo e non si accorgono dei minuti che si fanno rubare dalla fretta di vivere.

Io avevo sedici anni ed ero già morta tante volte. Non avevo più paura di morire. Forse, prima che cominciassi a farlo, ero d’accordo con i grandi e non ci pensavo.

Poi, dopo la prima volta, mi accorsi che anche la paura cambiava volto.

Me l’avevano descritta come un qualcosa di troppo grande da affrontare. Ora ci ridevo su.

“Viola, ma tu non hai mai paura?”, mi domandò quella curiosona di Marta.

“Io? No!”

Fu talmente secca la mia risposta che si defilò subito, con le labbra inumidite di gelato e saliva.

“Marta non è ancora cresciuta”, pensai e mi fece quasi tenerezza.

Io ero già grande da un pezzo.

Da quando avevo smesso di giocare con le bambole.

Da quando avevo capito che gli adulti dicono un sacco di cazzate e s’illudono di prenderti in giro, come se il tuo cervello avesse un funzionamento pari a zero.

Da quando avevo imparato che la paura era addirittura più forte della solitudine.

Perché, fin quando ti senti solo sola, ti chiudi in te stessa e dici addio al mondo in mille modi plausibili. Ma le cose si complicano molto quando all’improvviso muori del tutto.

Il cuore si ferma. La mente. La tua vita si blocca.

Allora ti ripeti: “Cazzo, sono già morta! E adesso?”

E chi ti risponde se gli altri non lo sanno? Chi si ferma a guardare i tuoi bellissimi occhi e a cogliere un lampo di perfetta assenza?

Nessuno! Né mamma. Né papà. Né quell’antipatico di tuo fratello che se la ride con gli amici ed è convinto di essere il più figo del mondo quando “acchiappa” una ragazza e la mostra agli altri come un trofeo. “La caccia è finita!”, sembra sussurrare.

“Solo per il momento”, ribadisco senza voce.

Ne colleziona una dopo l’altra. Tanto… Chi glielo ha spiegato che l’amore è ben altro?

Certo non i miei!

Io sono morta esattamente un tardo pomeriggio d’estate. Ero uscita con le mie amiche. Ricordo perfettamente che stavamo ridendo ed ero serena.

Ad un tratto ho perso il sorriso e tutto il resto.

“Viola… Ma quello non è tuo padre?”

“Impossibile! E’ fuori per lavoro!”, ribattei stizzita.

“Guarda che è proprio lui e sta baciando un’altra donna!”

“Ma che cavolo dici?”

Mi voltai e dovetti focalizzare più volte l’immagine per convincermi che Marta aveva ragione.

Eravamo amiche d’infanzia ma in quel momento la odiai con tutta me stessa.

Cominciai a correre, prima che la prendessi a pugni per la rabbia.

Pensai a mia madre. A me e a mio fratello.

Alla nostra famiglia “unita”. U-NI-TA?

Balle! Tutte balle!

Balle e bolle di sapone.

Non sono simili alle bolle di sapone gli amori che finiscono? Puoi anche soffiarci con forza e tutto è solo rumore.

Però è dentro che tu scoppi.

Non c’è un prima o un dopo. Basta un minuto.

Corsi a lungo finché rimasi senza fiato e dovetti fermarmi. Tutto era lontano da me. Eppure l’eco delle terribili parole di Marta mi seguiva ancora come un’impertinente cantilena.

“Tuo padre…. Un’altra donna…”

Impazzivo, ma non volevo piangere.

Non lo meritava. Non ci meritava.

Fu allora che capii che non ci voleva molto per morire.

Mi disturbava quella morte e non la ritenevo per niente indispensabile. Con tutta probabilità avrebbe potuto essere solo una grande invenzione se non fosse che il vecchio sarebbe sparito per sempre.

Non avevo paura e non m’ingannava la speranza. Mi sarei liberata dall’imbarazzo di non sapermi gestire.

“Violaaaaa!”

Due urla disperate mi raggiunsero come un fischio assordante.

Ripresi a correre. Ma ero senza fiato.

Dovetti fermarmi.

Mi voltai e vidi i visi stravolti di Marta e mio padre.

Dannazione!

“Viola, non è come tu pensi…”, provò a giustificarsi.

“Balle, balle e poi ancora balle! Abbi il coraggio di non mentire almeno a te stesso, papà!”

Il mio evidente disprezzo fece impallidire anche Marta che, forse, si sentiva in colpa per avermelo detto.

“Non voglio ascoltarvi. Voglio stare sola!”

“Ma Viola…”

Mi girai di spalle e aspettai a girarmi finchè non li sentii andar via.

Fu allora che piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto.

“Sono morta e piango!”, pensai sarcastica.

Avrei dovuto smettere di soffrire.

Forse ero morta a metà. Giusto il tempo di non sentirlo per un attimo il dolore.

M’incamminai verso casa. Era tardi. Sicuramente mi stavano cercando.

Non potevo morire senza cicatrici e ne avevo già collezionate un po’.

Le finestre erano illuminate.

Bellissima la luce della luna che si rifletteva nelle pozzanghere.

Aprii la porta cercando di non far rumore.

Li trovai seduti in salotto.

Papà giocava nervosamente con le dita, mio fratello guardava un programma sportivo e mamma mi guardò dritto negli occhi.

“Ti sembra l’ora di tornare, signorina?”

“Ho fatto un giro per distrarmi. Ero con Marta.”

Corsi subito in camera mia senza cenare, senza fermarmi troppo in quella stanza che mi toglieva il respiro.

“Notte, mamma!”

Quando mi misi a letto mi feci la stessa stupida domanda: “Perché a me?”

Questa volta, però, avevo ragione.

Mi ero oscurata perché faceva male vivere così.

Poi, mi addormentai.

Era già tardi quando mamma venne a svegliarmi.

Spalancò le finestre e la luce mi infastidì.

“Voglio dormire! Fammi dormire ancora!”

“Viola… Stai bene? Sei sempre così mattiniera!”

“Sono stanca… Voglio stare a letto!”

“Ti aspetto per colazione. Vestiti, dobbiamo andare in Chiesa.”

“Non ci vengo. Oggi, no!”

“Viola!”

“Ho detto, no!”

Urlammo entrambe, ma la spuntai.

L’idea di sorbirmi chiacchiere sull’amore nell’omelia domenicale non mi rallegrava.

Chi muore, alza i muri e smette di sorridere.

Chi muore non vuole nessun mazzo di fiori sullo stomaco. E quel puzzo insopportabile di vivere inquieti dà la nausea.

“Viola, scendi?”

La voce cavernosa di mio fratello mi stizzì più del solito.

“Lasciami in pace! E sparisci!”

“Sei fuori di testa?”

“Forse, ma non sono affari tuoi!”

La domenica trascorse oziando. Scesi solo per pranzo.

Ero un mostro. Gli occhi gonfi, due terribili occhiaie che m’invecchiavano all’improvviso.

La mamma mi diede un bacio sulla guancia.

“Tu non stai bene!”, mi disse preoccupata.

“Vero, amore?”, disse rivolta a papà.

Saltai sulla sedia.

Mi alzai per rinfrescarmi il viso in bagno.

Papà mi raggiunse.

“Diglielo o parlo io, adesso!”

Il suo volto tirato. Anche lui aveva dormito male.

Tornammo a sederci e il pranzo continuò come al solito.

“Troppo silenzio oggi” disse la mamma ridendo.

“Sono tutti stanchi, tranne noi, mamma!”, intervenne a sproposito quell’antipatico di mio fratello.

“Quando saprai…!”, pensai ridacchiando.

“La domenica è fatta per riposare e noi ci stiamo riposando. Vero, papà? Prima che…”

“Riprendiamo la frenesia degli impegni settimanali”, si affrettò a completare la frase tossendo e arrossendo alquanto.

“Che sta succedendo tra voi due?”, domandò mamma sempre molto attenta. Non le sfuggiva mai nulla. Sapeva cogliere al volo anche i prolungati silenzi.

“Niente, niente, cara!”

Ipocrita! Mi partì l’embolo e vomitai d’un colpo tutta l’amarezza che stavo masticando.

“Invece un problema c’è, mamma. Un grosso problema!”

Sapevo che poi saremmo morti tutti, ma non ero fatta per le finzioni. Mi stavano strette come nodi scorsoi.

“Un problema???”

La vidi vacillare, si sedette e ascoltò parola per parola immobile.

Non guardò papà ma me.

Non si può raccontare il dolore che vidi spuntare nei suoi grandi occhi color nocciola.

Non una lacrima. Le labbra tremavano, la voce, le mani.

Ci somigliavamo molto io e lei.

Due donne forti e fragili.

Mio fratello aveva smesso di ingurgitare bocconcini di carne.

Mio padre si era alzato per riprendere fiato.

Lo avevo avvisato.

“Viola… sei sicura?”

Ebbe la forza di domandarmi.

“Sì, mamma!”

Poi tacque per giorni.

Eravamo come fantasmi.

La puzza di quello schifo, forse, era arrivata fino al cielo. Ero abbastanza disperata da non vedere il sole.

Mi mancava l’odore delle risate.

Dopo aver confessato tutto, ero morta più profondamente.

Marta aveva continuato a cercarmi e io non avevo risposto a nessuna chiamata.

Ignoravo perché papà avesse ceduto. Mamma era bellissima e non meritava un simile disprezzo.

Quelle combinazioni chimiche che l’amore innesca sono davvero micce pericolose. E, quando s’innescano, fanno terra bruciata intorno senza scampo.

Cercavo di difendere l’idea d’amore che mi ero costruita a fatica e che stava crollando rovinosamente.

Non c’era nascondiglio che potesse proteggermi.

Matteo, mio fratello, era diventato taciturno, usciva poco, non parlava di ragazze, fumava più spesso e vegliava sulla mamma.

Avevo cominciato ad adorarlo.

“E’ cresciuto!”, mi ripetei.

Trascorse molto tempo prima che vedessi la mamma meno rigida in volto.

In questi giorni l’avevo sentita singhiozzare spesso. Avevo provato ad abbracciarla ma mi guardava in maniera strana.

“Ce l’ha con me!”, mi ero persuasa e avevo smesso di farlo.

Una mattina, una di quelle mattine semiautunnali che ti ingoiano l’anima, a colazione il silenzio fu interrotto da una stringata comunicazione:

“Ci separiamo!”

La voce impersonale di mamma e il suo sguardo lontanissimo mi colpirono come una freccia avvelenata.

Capii che nulla si poteva più ricucire. Né il tempo dei ricordi né quello dell’immaginazione e nemmeno quello della speranza.

“A fine settimana vado via di casa”, continuò papà.

Io e Matteo ci abbracciammo e morimmo insieme.

Morimmo di panico e di solitudine. Tesi le orecchie al silenzio: nessun rombo sotterraneo.

Squillò il cellulare e risposi: “Viola???”

Era Marta. “Facciamo due passi?”

“Sì!”

Uscii di casa morendo ancora.

Nulla sarebbe stato più come prima!

(Angela Aniello)

La separazione dei genitori porta inevitabilmente nei figli una serie di cambiamenti sia nella quotidianità che nel loro modo di relazionarsi in famiglia e con il mondo; di seguito dei brevi consigli per aiutare i genitori che stanno vivendo questa dolorosa e difficile fase della vita, con l’augurio che anche il dolore e le ferite possano trasformarsi e generare nuovo amore:

  • E’ preferibile che i genitori comunichino insieme l’intenzione di separarsi.
  • Rassicurare i propri figli sul fatto che la separazione è una decisione in cui essi non c’entrano e non hanno alcuna colpa.
  • E’ fondamentale aiutare i figli ad esprimere i propri pensieri e sentimenti rispetto alla separazione.
  • Essere chiari sull’irreversibilità della decisione per evitare il tentativo da parte dei figli di riconciliare i genitori.
  • E’ importante non parlare male ai figli dell’altro genitore.
  • Evitare di cercare la complicità dei figli contro l’altro genitore.
  • Fare in modo che i figli vedano regolarmente il genitore che non vive con loro e che non cambino drasticamente le proprie abitudini.
  • Aspettare un po’ di tempo prima di presentare eventuali altri partner

Dott.ssa Santa Maggio

 

Riproviamoci ancora

Un racconto per riflettere sulla comunicazione
e sulle dinamiche tra genitori e figli adolescenti

Il racconto che segue, intenso e ribelle, grazie ad un piccolo tuffo nella mente di un’adolescente, fa riflettere sulla comunicazione e sulle dinamiche genitori-figli adolescenti.

L’adolescenza è sicuramente il momento più critico della vita sia per i figli che per i genitori. Non ci si trova più davanti ad un bambino dipendente e spesso accomodante ed essere genitore diventa sempre più un compito di costante adattamento soprattutto in questa fase importantissima e nuova del ciclo vitale.

L’adolescente deve fare i conti con i profondi mutamenti degli aspetti fisici, con la rottura dell’equilibrio emotivo, con il rapido alternarsi di stati d’animo opposti e i problemi connessi, con il comparire delle pulsioni sessuali, con le prime esperienze sentimentali, con le scelte professionali, ideologiche, scolastiche, ma soprattutto con il desiderio di indipendenza e allo stesso tempo di un rapporto diverso con gli adulti.

In questa delicata fase della vita i ragazzi hanno bisogno di fiducia, di sapere che gli adulti di riferimento accettano la loro sperimentazione e in questo un genitore può riuscirci nella misura in cui immagina cosa il figlio pensa e come potrebbe reagire o comportarsi alle diverse situazioni che gli si presentano.

Tutto diventa più difficile da gestire quando è un solo genitore a dover far quadrare il tempo, le spese, il cuore, i bilanci vari.

Mille strade d’incontro possono dipanarsi quando, poi, c’è davvero il bisogno di incontrarsi, di rimescolare tutte le emozioni come carte della vita, di una quotidianità, che può anche farsi dura ma mai invivibile per chi vuole crederci.

Solo quando noi adulti riusciamo a meravigliarci, a guardare il mondo degli adolescenti con i loro occhi, ad ascoltarli e ad accoglierli senza farli sentire giudicati, possiamo aprire la comunicazione e creare quel rapporto vivo che offre uno spazio necessario per un sano sviluppo psicologico ed emotivo.

a cura della Dott.ssa Santa Maggio

Riproviamoci ancora

Francesca osservava da tempo il soffitto plumbeo e anonimo della sua cameretta. Angeli e demoni, caduti entrambi dallo stesso Paradiso semivuoto, svolazzavano minacciosamente sul suo capo confuso e ribelle. Troppo ribelle. Troppo incazzato.

Era uno di quei pomeriggi di primavera in cui stentava a studiare. Cominciava a essere stanca di ritrovarsi sempre sola in casa.

Sola con i suoi pensieri stentati, sola con le paure, le incertezze, gli incubi.
Sola con un vuoto dentro sempre più devastante.
Sua madre lavorava tutto il giorno e si vedevano pochissimo.
Da ore la pagina bianca dinanzi a lei restava immacolata, rifiutando di riempirsi di chiacchiere.

“Le chiacchiere abbelliscono il nulla ma non lo riempiono mai”, sbraitava uno dei demoni gaudenti.

“Taci, maledetto demonio! Non vedi quanto è triste?”, cercava di indorare la pillola l’angelo buono.

La fantasia cozzava con la malinconia e si accompagnava al silenzio.

Titolo del tema: “Dialoghi apertamente con i tuoi genitori?”

A quattordici anni era stufa di mentire.

Mio padre, buon’anima, è andato avanti (cioè morto) quattro anni fa. La mamma se ne sta per cavoli suoi… Non dialoghiamo perché non ha mai tempo per me”… avrebbe voluto scrivere.

Perché tanti spazi bianchi si frapponevano fra lei e sua madre rendendo pesante un silenzio già troppo inquietante.

Il sole, che penetrava dalla finestra alle sue spalle, riscaldava piacevolmente il petto rammaricato, ma il buio nel cuore smorzava ogni sorriso.

Testo: Io e mia madre siamo molto unite. Quando torna dal lavoro, si siede accanto a me sul divano rosso in cucina e mentre sgranocchiamo patatine alla cipolla, le nostre preferite, mi domanda come è andata la mia giornata. Ridiamo come pazze quando le racconto le avventure della mia classe, le prime cotte delle mie amiche e anche la mia per Luca, il più figo della scuola. È simpatico e poi mi fa ridere… Ho tanto bisogno di ridere. Sì… ho davvero tanto bisogno di ridere. Sono felice e quando mia madre è vicina mi sento protetta, mi sento amata…………………………………………………………………………………….

P.s…..Così sarebbe, se mia madre avesse tempo per me… Ma… avremo mai tempo?”

Aprì il diario, dalle pagine colorate sbucò all’improvviso la foto di Luca e uno strano rossore le imporporò le guance.

Sua madre non s’era neppure accorta che stava crescendo. Che non era più la bambina da quietare con cioccolatini e giocattoli. Che si stava innamorando e un rimescolio di emozioni le faceva vacillare le gambe.

Era sempre troppo impegnata con le cene dalle sue amiche, troppo presa da se stessa.
Desiderava davvero una figlia quattordici anni prima quando l’aveva concepita?

Il tema era stato concluso senza troppi entusiasmi. Parole inutili, che sapevano di fumo, di solitudine, di rabbia a lungo fagocitata e inespressa, di illusioni gonfie come inconsistenti bolle di sapone.

Chi lo avrebbe mai saputo?

A scuola gli amici la invidiavano:

“Beata te, che hai una mamma così giovane, così frizzante, così allegra. È super, vero? Sembrate sorelle!”
“Che strana la vita!”, pensò Francesca sbadigliando e stiracchiandosi per pigrizia.
Un rumore di chiavi infilate frettolosamente nella toppa, il cigolio della porta ed eccola puntualmente far capolino nella sua camera.

“Franciiii? Sei in casa? Vieni ad abbracciarmi! Ho avuto una pessima giornata!
È bello rientrare sapendo di trovarti, bambina mia!”
“Quante volte, mamma, devo ricordarti che non sono più una bambina?”

Il volto incollerito e la testa ricciuta e scomposta fecero sorridere Claudia.

“Hai cenato?”
“Non ho fame e poi ho tanti compiti da fare e poi non ho tempo da perdere”
“Non ha tempo da perdere, la signorina…” ribadì stizzita Claudia.

Sempre la stessa storia. Non riuscivano più a comunicare. Se n’era accorta da tempo, ma non sapeva che altro tentare per riavvicinarsi a lei. Non era mai stata una brava mamma, è vero, ma Franci era tutto il suo mondo. Forse l’aveva trascurata per il lavoro, ma non aveva alternativa. Quel maledetto lavoro in una fabbrica maleodorante le stava allontanando. Per appena 750 euro netti al mese.

Sospirò e rimase seduta a lungo in silenzio sul letto di sua figlia che, di proposito, non la guardava neppure. Ma sentiva il fiato pesante sul collo e soffriva.

Due mondi vicini eppur lontani che non si incontravano più.

“Che ci fai qui?”, borbottò quasi ringhiando Francesca. “Non hai impegni stasera?”
“No. Non esco. Resto qui con te.”
“Non preoccuparti, mamma, mi sono abituata a star sola. Ci si abitua a tutto prima o poi, non credi?”

Francesca sentiva la rabbia salire alla labbra, incontenibile, come se il silenzio all’improvviso avesse aperto la valvola di sfogo.

“Perché sei dura con me?”
“Perché non dovrei esserlo.. mammina cara?”
“Vuoi sapere cosa è accaduto oggi? La prof di italiano mi ha assegnato un tema da svolgere a casa e ho dovuto mentire… perché non parliamo mai… perché non mi chiedi nulla… Perché non mi conosci…mamma… Mi consideri ancora la tua bambina… Ma non sai ciò che provo… ciò che penso… Sono cresciuta presto… anche grazie alla tua assenza.”

Uno sguardo così cupo e ferito Claudia non l’aveva mai visto. Aveva dinanzi a sé un’estranea. Si vergognava e taceva. Giocherellava nervosamente con le dita e pensava.

“Vuoi leggere il tema? Fa’ pure e, se proprio ci tieni, soffermati soprattutto sull’ultimo rigo che, ovviamente, in bella copia non riporterò mai”

Le porse il foglio macchiato d’inchiostro, accartocciato più volte. Lo aprì tremando, lesse tutto d’un fiato sotto lo sguardo minaccioso di sua figlia e con tanta pena nel cuore giunse al post scriptum. Un nodo in gola le seccò la saliva. I suoi errori scorrevano visibilmente in quelle righe e di colpo li vedeva tutti insieme.

Si fissarono a lungo e si abbracciarono.

Franci era ancora scettica ma aveva bisogno di quell’abbraccio. Come un’ancora nel maremoto che le tranciava il fiato. Come ossigeno puro tra i fumi di sagome poco nitide.

“ … Avremo mai tempo, mamma?”

“Sì… Credo di sì… Se lo vorrai…Se lo vorremo… Perdonami, se puoi” accennò a stento Claudia fra i singhiozzi.

“ Ok… Riproviamoci ancora! Per favore, non deludermi, perché non so se riuscirei a perdonarti ancora. Anche se sei mia madre, se ti voglio più bene di chiunque altro, se riconosco che non hai tutte le colpe, no, non penso che ingoierei un’altra illusione.

Una madre, una buona madre, non nasce tale, ma di certo può diventarlo se lo desidera.”

Aveva detto tutto e la libertà che le riossigenava i polmoni era più dolce di ogni sperata speranza.

(Angela Aniello)