Pensando all’educazione, mi viene in mente l’espressione rassegnata ma allo stesso tempo rabbiosa del viso di mio nonno, novantaquattrenne, quando guardando la tv o ascoltando i propri nipoti parlare tra loro ha pronunciato più volte in dialetto questa frase: “Il mondo è cambiato, non si capisce più niente, i giovani sono tutti maleducati e senza rispetto”. Solitamente un disinteressato sorriso è la reazione più immediata a questa frase perché detta da un “vecchio retrograde” non ha molta importanza; invece ritengo che in quelle semplici e scontate parole si racchiuda il problema delle nuove generazioni che, nonostante appaiano forti, autonome e combattive, in realtà vivono un gran senso di smarrimento.
In passato l’educazione dei giovani era rigida, autoritaria, repressiva e anche i rapporti interpersonali dovevano conformarsi a schemi e regole condivise da tutti; chi decideva di prendere strade diverse era considerato deviante e veniva presto punito e tagliato fuori dalla società. Persino i rapporti tra genitori e figli erano basati su un sentimento di profondo rispetto al punto da dare del “voi” ai propri genitori con i quali si viveva un rapporto distaccato.
Tuttavia, pian piano la vecchia società patriarcale e autoritaria è scomparsa e si è avviato un graduale cambiamento che ha coinvolto la famiglia, la scuola, il lavoro e ha scardinato i vecchi valori e i vecchi modelli educativi a favore di una società più aperta e democratica in cui la comunicazione e i rapporti interpersonali assumono un ruolo fondamentale nell’affermazione di sé, nella crescita personale e nello sviluppo di una società più libera e creativa che vede emergere rapporti umani più gratificanti e costruttivi.
Nonostante i molti contributi positivi, questo radicale cambiamento ha portato anche dei risvolti negativi: con il crescere della libertà è cresciuta anche l’incertezza, il disagio esistenziale, l’individualismo, la solitudine. Tutto questo non fa che alimentare stress, crisi di identità, crisi dei ruoli sociali, conflitti familiari e separazioni coniugali. I nostri antenati erano sicuramente meno liberi di noi nelle relazioni, per esempio non potevano scegliere se sposarsi o convivere, non potevano avere un rapporto alla pari con il proprio datore di lavoro, non erano liberi di manifestare apertamente in pubblico il proprio pensiero, la propria identità sessuale e le proprie emozioni, però erano meno insicuri, meno ansiosi e meno stressati; quelle che rappresentavano delle restrizioni erano anche una guida sicura per orientarsi nella vita sociale, una fonte di sicurezza per la strutturazione di un’identità salda. Loro a differenza nostra non si portavano dietro il senso di incertezza oltre i trent’anni, perché già a sedici o a diciotto anni venivano considerati adulti in grado di sostenere una famiglia.
Ciò che oggi si avverte è il bisogno di creare dei nuovi modi di vivere il rapporto con gli altri e con se stessi. Ci troviamo in un delicato momento di transizione in cui si buttano sempre più via i vecchi valori, le vecchie forme di relazione ed emergono nuove esigenze, nuove aspettative che rendono difficile l’orientamento autonomo nella società, difficile munirsi di consapevolezza nel compiere delle scelte perché magari si segue ciecamente la strada percorsa da altri, quella strada che porta il nome di “moda”. Così capita spesso di trovarsi di fronte a conflitti, scontri e blocchi delle relazioni dei quali si vorrebbe dare la colpa agli altri invece di assumere un atteggiamento obiettivo che riconosca le proprie responsabilità.
I ragazzi oggi sono spesso lasciati in balia di se stessi e devono imparare sulla propria pelle, per tentativi, a fronteggiare le frequenti sconfitte della vita; l’educazione che essi ricevono a scuola è spesso un indottrinamento che trascura alcune dimensioni fondamentali per la crescita personale come per esempio dimensioni relazionali, emozionali, comunicative, affettive. Nessuno ci ha mai insegnato a comunicare efficacemente, ad impostare in modo sano e costruttivo i nostri rapporti con gli altri, ad ascoltare più che parlare, a condividere più che pretendere. Inoltre, in casa, i genitori spesso esigono e si vantano di avere con i figli un rapporto di amicizia, ma tutti possono immaginare quanto questo, oltre ed essere difficile, è impossibile e deleterio: i figli hanno bisogno di avere dei punti di riferimento saldi e non si può pretendere che confidino tutto ai propri genitori proprio come farebbero con un amico; ci sono cose che vanno scoperte pian piano e che un amico può permettere, ma un genitore no.
Vivere nella società e assaporare la bellezza delle relazioni è un arte complessa che richiede un grande impegno individuale, ma soprattutto sociale; tuttavia per attuare questo è importante che indottrinamento e affettività si abbraccino e che la testa e il cuore si intreccino e camminino sempre insieme al fine di educare i ragazzi ad essere bravi cittadini del mondo.
Santa Maggio
“L’immaginario dell’educazione”. Articolo scritto per il periodico mensile “I CARE” dell’Associazione Musicale “Gruppo Immagini”